Quelloska che stava con Igor.

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Quella che stava con Igor NON si chiamava Franca, Mariuccia o Carmela, quelloska che stava con Igor si chiamava Bogdana. Bogdana, sì! Avete capito bene: Bogdana non è solo un modo di essere, è un nome anche, russo, di donna. Significa: Data. Da Dio. Bogdana che stava con Igor sembrava uscita da un film di mafia e trafficanti russi. Cioè era strabonissima. E io ho sempre amato le Bogdane. Le Bogdane dentro e le Bogdane fuori. Ma c’era un problema: Igor sembrava il protagonista del film di mafia e trafficanti russi di cui sopra. E io avevo abbandonato ormai da tempo l’idea di iscrivermi ai servizi segreti e infiltrarmi sotto falsa copertura perché avevo un segno riconoscibile. Se hai un segno riconoscibile mica puoi fa’ l’infiltrato. Sei riconoscibile, lo dice la parola stessa. Quindi a 4 anni quando mi procurai il segno riconoscibile, grazie alla caduta di un vasone di Nutella sull’unghia del dito medio che restò da quel momento spezzata in due alla radice, decisi che avrei fatto tutt’altro: tipo l’astronauta, cosa che poi non ho più fatto perché nello spazio il sabato sera, ma nemmeno gli altri giorni, non c’è manco un cazzo di bar aperto. Almeno finora. Dicevo l’unghia spezzata alla radice: quando ti spezzi l’unghia alla radice, questa per tutta la vita continua a crescerti producendo una linea che parte dal punto della spezzatura fino al margine anteriore dell’unghia in modo da farla sembrare una specie di tegola a doppio spiovente. Insomma ‘na cosa non proprio carina a vedersi ma soprattutto riconoscibile.
Quindi niente iscrizione ai servizi segreti.

Fallito il piano di sedurre Bogdana infiltrandomi e facendomi assumere da Igor come sua (di lei Bogdana intendo) guardia del corpo, e che corpo, dovevo assolutamente pensare a un altro piano per avvicinarla senza urtare la suscettibilità di Igor e innescare la sua capacità di reazione, che potrei tranquillamente paragonare a una batteria di razzi katiuscia montati però con missili balistici da 50 megatoni. Dovevate vedere il suo bicipite. Più che un bicipite sembrava un centicipite, millecipite, ‘na cosa esagerata. Dovevate vedere la sua crania, pelata, lucida, con un tatuatoski a forma di drago matrioska dal quale uscivano altri tanti draghi incazzati. Dovevate vedere la sua espressione da calmo. Da calmo ho detto. E immaginarvi come poteva essere quella da incazzato.

Quindi scartato il piano b, c, d, e, f, g, h, i, l, m, n… – vado avanti? – perché tutti potenzialmente dall’esito tragico, optai per il piano Z. Quello dell’ultima risorsa, quello che metti in atto quando sei in un vicolo cieco e il muro davanti è alto e liscio e tu hai i palmi delle mani e le piante dei piedi sudati e non puoi scalarlo e dietro ti stanno per arrivare i cattivi, quello lì.

Volete sapere qual è? Col cazzo che ve lo dico. Fatevelo raccontare da Igor se ci avete il coraggio.

CERTE STORIE
di Riccardo Loffredo